Un bel dipinto di Emanuele Mollica, ritrattista di casa Borbone, immortala Gennaro Pecoraro, capostipite dei Venturino, nato nel 1781. Durante tutta la prima metà del XIX secolo, svolse l’attività di Procacciuolo ovvero portavalori per i Reali Napoletani: in parole più semplici, assicurava il trasporto di beni preziosi e di danaro tra Napoli, la Basilicata e la Calabria. La delicata funzione si protrasse fino alla repentina annessione del Regno delle Due Sicilie al neonato Regno d’Italia. Fu allora , dopo l’Unità d’Italia, che il figlio di Gennaro, Francesco, nel 1856, riconvertì l’attività paterna in quella di pastaio che forse già suo padre aveva avviato in precedenza. Qualche anno prima dei tumultuosi eventi del 1860, prima che i Borbone fuggissero da Napoli, Re Ferdinando II, di ritorno dalla tenuta di caccia di Persano, aveva sostato a Nocera Superiore. L’occasione era la visita al magnifico Battistero Paleocristiano di Santa Maria Maggiore, accogliendo le annose richieste dei cittadini di provvedere alla riapertura ed al restauro dell’edificio. Durante quella sosta, poco lontano dalla sede originaria del neonato pastificio, Sua Maestà assaggiò le delizie culinarie del suo fido Procacciuolo.
Francesco Pecoraro sposò Maria Antonia Violante, originaria di Pagani; nel 1863 nacque Michele che continuò l’attività, dandole un notevole impulso. Michele, convolato a giuste nozze con Rosa Milite, non ebbe figli naturali: in circostanze avvolte dalla nebbia della discrezione, in una sera imprecisata del 1892, all’Annunziata di Cava de’ Tirreni, fu affidato da una levatrice, Francesco, un neonato, battezzato nella chiesa parrocchiale con il cognome materno, Venturino. A lungo, dalla città de’ La Cava, trapelavano indiscrezioni e dicerie; le più disparate riferivano che il pupo fosse il frutto dell’amore segreto ed impossibile tra un potente dalla nobiltà di sangue e un’ingenua fanciulla. Qualcuno sapeva, ma tacque per sempre. Comunque fossero andate le cose, con Francesco inizia il Ventesimo secolo e l’epopea moderna dei Venturino. Hanno continuato, incrementando l’attività, lo zio Michele, e Ciro, padre di Raffaele, attuale capitano d’azienda. A lui si deve il rinnovamento dell’opificio, secondo standard più contemporanei, ma attenti alla grande tradizione di famiglia. A coadiuvare, è la consorte Barbara. Raffaele è l’ambasciatore di valori e di prodotti che guardano al futuro, mantenendo inalterati sapore e qualità.
Un manager dinamico dei tempi nostri che ha portato oltreoceano i suoi prodotti d’eccellenza! In poche battute, è questa la saga familiare dei Venturino negli ultimi due secoli. Tuttavia, bisogna ricordare che l’opificio ha attraversato tutte le drammatiche fasi del Novecento; dapprima, la sede era nella frazione Camerelle di Nocera Superiore, allo snodo dell’antica strada Regia delle Calabrie, con ingresso verso l’antica Nuceria Alfaterna. Successivamente, fu impiantata, sempre lungo il medesimo asse viario, nei pressi del Battistero Paleocristiano dove è rimasta fino a pochissimi anni fa. Durante il secondo conflitto bellico, subì i saccheggi da parte della popolazione ridotta allo stremo; seguì poi, l’incendio dell’archivio familiare. In una notte, andò in fumo ogni testimonianza; svanirono le cronache piccole e grandi della famiglia. Non è rimasto che l’oralità della memoria, tramandata dall’asse femminile che ne ha profuso sapere e cognizioni; non ultima quella dell’arte, tutta italica, della pasta: l’aroma e le forme che caratterizzano ancora la “Pasta dei Venturino”. Il segreto è nel semplice e felice connubio tra semola di grano duro, acqua e tanta passione, con metodi tradizionali e classici. Raffaele, ad oltre centosessanta anni di distanza, ancora oggi, si prodiga affinché questo bene prezioso e sacro arrivi con le antiche ricette, sulle tavole di tutto il mondo, nel solco dell’illustre antenato. Raffaele Venturino profonde tutta la passione e la capacità di proiettarsi nell’Europa di oggi con lo sguardo proiettato sul villaggio globale del mondo, senza dimenticare le origini.